Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi, Firenze 1386 – 1466)



Altare del Santo (1447 – 1450)
Bronzo

Madonna col Bambino in trono (a. 159 cm); San Francesco (a. 147 cm); Sant'Antonio (a. 145 cm); Santa Giustina (a. 154 cm); San Daniele (a. 153 cm); San Ludovico di Tolosa (a. 164 cm); San Prosdocimo (a. 163 cm).

Dodici rilievi con angeli, 58x21 cm

Quattro rilievi con simboli degli evangelisti, 59,8x59,8 cm

Quattro rilievi con miracoli di Sant'Antonio: Miracolo della mula; Miracolo del neonato parlante; Miracolo del figlio pentito; Miracolo del cuore dell'avaro, 57x123 cm

Rilievo con Cristo morto affacciato da due angeli, 58x56 cm

Rilievo con sepoltura di Cristo
Pietra calcarea con inserimento di pietre dure, 138x188 cm


Basilica di Sant'Antonio, Padova

Il primo contratto a noi noto relativo a questa impresa scultorea risale al 27 aprile 1447 in cui oltre a Donatello vengono citati anche alcuni suoi collaboratori, tra cui Niccolò Pizzolo che collaborerà con Mantegna nella fase iniziale dei lavori di decorazione della Cappella Ovetari. L'attuale configurazione dell'altare che vede impiegato anche il crocifisso di cui alla scheda precedente, risale al 1895 e non rispecchia quella originaria che venne modificata già nel 1579 quando si decise di rinnovare l'altare. Dalle ipotesi ricostruttive più accreditate sappiamo che la statua della Vergine col Bambino e i sei santi (tre francescani, Francesco, Ludovico e Antonio uniti ai tre santi martiri venerati a Padova, Giustina Daniele e Prosdocimo) erano collocati entro un baldacchino marmoreo costituito da quattro pilastri esterni e quattro colonne e coronato da una cuspide ad arco ribassato, con il basamento decorato a basso rilievi. Esso si configurava quindi come una sorta di Pala d'Altare in forma di trittico unificato spazialmente, come logica conseguenza della sua natura scultorea. Tutte le statue erano quindi state elaborate per suscitare nel loro insieme un effetto 'pittorico' testimoniato dal fatto che nella maggior parte delle figure solo le parti più in vista erano state cesellare dopo la fusione in bronzo, mentre quelle più nascoste erano rimaste ad uno stato di rifinitura meno avanzato. Da questo particolare si è anche potuto dedurre che rispetto all'attuale posizionamento le figure di Daniele e Giustina erano invertite, come anche il gesto delle mani originariamente doveva essere rivolto al Bambino lascia intendere. Rispetto a quelle dei santi la figura della Vergine col Bambino sembra avere un'impostazione più arcaica dovuta alla sua rigida frontalità e alla posizione che pare una via di mezzo tra l'essere seduta e in piedi. Le immagini delle sfingi che compaiono sul trono sono una libera traduzione di Donatello da antichi modelli e sono forse allusive alla "sedes Sapientiae". Non sappiamo se tale arcaicità fosse dovuta a una esplicita richiesta della committenza o riguardasse una precisa volontà dell'artista. Da segnalare che le due volute dei pastorali di Ludovico e Prosdocimo e la brocca di quest'ultimo, risalgono al 1751 e collocati in sostituzione degli originali andati perduti. Nella logica della struttura a pala d'altare i rilievi si costituivano come le predelle in cui vengono rappresentati principalmente quattro episodi miracolosi della vita di Sant'Antonio. In essi l'artista da un saggio straordinario della tecnica a rilievo con la quale egli riesce a suggerire diversi piani di profondità grazie a un'abile sovrapposizione delle figure e all'utilizzo di un unico punto di fuga centrale con l'accentuata convergenza delle linee prospettiche secondo modalità analoghe a quelle adottate da Jacopo Bellini, allora tra i maggiori artisti veneziani. Così facendo si concentra anche lo sguardo sull'azione miracolosa che si svolge al centro della scena, sviluppata con un ampio respiro compositivo in cui le numerose figure sono come investite da un irradiarsi concentrico di emotività che percorre lo spazio a partire dall'evento prodigioso. Una grande carica drammatica anima, infine, il rilievo in pietra con la deposizione di Cristo, un tempo affiancato da altri quattro santi a rilievo oggi perduti. La drammaticità della scena, che prelude allo stile degli ultimi anni della produzione donatelliana, è sottolineata dall'affollamento dello spazio che appare claustrofobico, in cui la stessa figura di Cristo sembra non entrare nel sepolcro. Questo complesso scultoreo ebbe un'importanza capitale per l'introduzione dello stile rinascimentale in veneto, irraggiandosi dalla città del Santo verso Venezia. Diverse testimonianze in questo senso attestano l'importanza di siffatta realizzazione, come la Madonna e santi di Niccolò Pizzolo alla chiesa degli eremitani a Padova, sia pittoriche come la famosa pala della chiesa veronese di San Zeno di Mantegna. Per altro proprio da tali opere si è potuto prendere i maggiori spunti per la ricostruzione del suo aspetto originario.



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